domenica 30 maggio 2021

     Se fossi un Albero

In questo pomeriggio di quasi estate, sonnecchiando a occhi aperti, mentre la mia mente ripassava voci e immagini di profughi incontrati in questi vent'anni di lavoro insieme a loro, ho ripescato dalla memoria qualcosa che avevo letto da qualche parte e che mi aveva colpito l'anima. Provo a mescolare il racconto di vita di alcune persone delle quali ho conosciuto la storia,  assemblarle come i pezzi di un mosaico e incollarle usando quel pensiero ordinato e compiuto che si era impresso nella mia anima, in modo incedibile.

    Ricordo la storia di un ragazzino, arrivato in Italia dalla Libia, dopo aver trascorso a piedi migliaia di chilometri per fuggire dal suo paese. Mi spiegava che tutta la sua disgrazia aveva iniziato con un incendio che aveva devastato tutto. Mi aveva spiegato che quella tragedia era stata attribuita a lui dagli abitanti del luogo, perché a causa della sua poca età, non era riuscito a domare il fuoco con il quale stava bruciando le erbacce per preparare la terra ad una nuova semina.  Nell'incendio, alberi e raccolti sono stati devastati dal fuoco e in quel rogo anche lui avrebbe dovuto perire, come punizione.

"Se fossi un albero, sarei stato bruciato vivo fino a diventare cenere"

    La storia  del ragazzino del Gambia si mescola ad un'altra, questa volta lo scenario è quello di un paese devastato da un terribile genocidio: il Rwanda. La ragazza, sfuggita al massacro delle persone della sua etnia, aveva dovuto correre tanto e veloce, in piena notte, con il figlio neonato legato alle sue spalle. Gli aggressori impugnavano delle machete e dei coltelli grandi e affilati e con quelli avevano devastato tutto: alberi, case, donne, bambini, uomini. Quando non aveva più fiato per correre, si era fermata e solo allora si era accorta che suo figlio era caduto a terra mentre lei correva. Aveva provato a tornare indietro, tra gli alberi e la vegetazione alta, ma non lo aveva più trovato. 

"Se fossi un albero, gli uomini mi avrebbero potuto tagliare a pezzi e non mi sarei mai spostato dalla terra dove sono nato".

    La mente rievoca racconti di siccità e di grande carestia; di guerre e di paura. Come quella di un giovane del Niger, che dopo aver perso tutta la famiglia a seguito dei bombardamenti, viveva di stento a causa di una enorme siccità. "vagavo da un luogo all'altro alla ricerca di qualcosa da mangiare, ma trovavo solo fame e disperazione. In quell'anno abbiamo perso tutto il raccolto perché non era piovuto mai e così tutto in torno a me sembrava morto. Anch'io sembravo morto. Non so dire neppure perché mi ero messo in cammino, cercando di inseguire un letto rinsecchito di un fiume senza acqua. Avevo paura della morte anche se, dentro me, tutto sembrava già morto. 

"Se io fossi un albero, a causa della siccità, avrei potuto seccare li, nel luogo dove sono nato. Per colpa delle bombe, avrei potuto esplodere spargendo foglie e legno in cerchio, come in cerchio era prima l'ombra delle mie fronde".

    Mi soffermo con la mente al racconto di alcuni profughi che vivevano vicino al confine tra il Bangladesh e l'India. Mi raccontavano della stagione delle piogge e di come l'India aprisse le dighe per far scorre l'acqua grossa, carnale, verso il paese vicino. Per evitare di soffrire l'alluvione, lasciava che l'acqua inondasse il Bangladesh. Loro, i più poveri, vivevano lì, in quel luogo di confine, dove nessuno avrebbe voluto mai vivere e quando i fiumi traboccavano, l'acqua si portava via tutto: alberi, animali, case, persone. L'acqua che arrivava era anche il letto delle mine anti uomo, che nella zona di confine vengono "seminate" come fossero grano.  Dopo aver visto tanti morti e vissuto  tanta miseria, si erano messi in viaggio, inseguendo la strada indicata da altri per lasciarsi indietro le tragedie. 

"Se io fossi un albero, l'inondazione del mio villaggio mi avrebbe strappato alla terra dove sono nato, togliendomi il respiro e il sostento.  Mi avrebbe trascinato per chilometri, smembrandomi.  Mi sarei lasciato trascinare via verso la morte perché non avrei avuto altra scelta."

    A chi mi domanda perché questi profughi non rimangano a casa loro e perché decidono di rischiare la propria vita in viaggi terribili, passando da un luogo all'altro senza che  li venga mai riconosciuta  una degna umanità, e rischiando ogni sorta di violenza, di brutalità e di sopraffazione per il solo desiderio di  poter allungare di poco la propria esistenza, credo che la risposta possa essere quella di un giovane migrante che, durante l'udienza in Tribunale, è stato interrogato sulle ragioni per le quali aveva lasciato il suo paese di origine. Dopo un lungo silenzio che sembrava raccogliere tutte le questioni del nostro tempo, guardando il magistrato negli occhi, egli rispose:

"Perché non sono un albero. Io sono un uomo."





domenica 14 giugno 2020

UNLOCKED - IL CORTOMETRAGGIO DELLA SPERANZA

La esperienza dell'isolamento sociale, della solitudine e della paura a causa della pandemia di Covid-19 ci può far capire come tante persone, per altri motivi, vivono l'esclusione sociale. UNLOCKED è un messaggio di speranza perché 
"la solitudine può essere una terribile condanna o una meravigliosa conquista"                                  (Bernardo Bertolucci)                                                                                         https://youtu.be/3ls-OeBVeeA

domenica 26 gennaio 2020

La Trerribile Attualità del Male


Oggi voglio parlare ai vostri cuori.

Di solito sono le persone che mi parlano al cuore, mi raccontano la loro storia ogni giorno, ormai da anni!Il mio compito è quello di cogliere le parole, raccogliere le loro lacrime che spesso li accompagnano nei racconti, i gesti che si sostituiscono alle parole quando, all’improvviso, inizia il deserto della loro anima. Quel deserto che è presente nella solitudine di chi non può più tradurre in parole i propri vissuti, come aveva capito anche Primo Levi.Una volta raccolto ogni uno di questi “ingredienti”, li trasformo in testo scritto, una memoria, che sarà portata in commissione per essere valutata dalle persone competenti.Sono un contenitore pieno che oggi, vuole condividere con voi questo grido che si porta dentro. Per farlo, torno un po' indietro nel tempo e mi approprio di parole già pronunciate prima e che avrebbero dovute rimanere impresse nella nostra memoria, ma che, invece, le abbiamo perse. A queste associo immagine attuali, giusto per farvi capire come il passato, purtroppo, è ancora presente.

“ Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo

Che lavora nel fango
(*oppure che si confonde con il fango o con la sabbia)



Che non conosce pace

(Libia, 2017)







Che lotta per un pezzo di pane

(Libia, 2018)



Che muore per un sì o per un no.


(Libia, 2017 – Fotogramma - filmato di torture su un ragazzino somalo)

































Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza per ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.



(Libia 2017, Ragazza somala torturata)

































Meditate che questo è stato: (*Meditate che questo é adesso!)

Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi, alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.


(Immagini del lager libico)



O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.”
(Primo Levi)

Mi scuso per la crudeltà di queste immagini, ma purtroppo temo che non sia più possibile parlare di quanto stia accadendo nel mondo intorno a noi senza dare la fotografia esatta di questo nostro tempo.
Alcune di queste immagini mi sono arrivate con l’aiuto di bravi colleghi giornalisti africani che hanno avuto il coraggio di documentare quel che accade in Libia ogni giorno.
Altre immagini sono tratte da alcuni filmati che mi sono stati recapitati da una richiesta disperata di aiuto alla quale non ho potuto rispondere, nonostante tutti gli sforzi. Sono immagini vere. Sono immagini di uomini e donne che si trovano in un luogo per nulla diverso da quello in cui si è trovato, suo malgrado, Primo Levi e altri milioni di esseri umani durante la seconda guerra mondiale.

Mi fermo alla Libia, anche se non è il solo luogo degli orrori del mondo di oggi. Non oso parlare di Siria, di Repubblica Centro Africana, di Yemen e di tanti altri luoghi dove c’è la guerra.
Mi soffermo con lo sguardo sulla Libia che si trova a circa 900 km dall’Italia. Un niente! Nelle acque che separano l’Italia dalla Libia sono morte più di 30 mila persone negli ultimi 10 anni. Non sono numeri. Sono uomini, donne, bambini, uguali a tutto e per tutto a ciascuno di noi.

Ho voluto riprendere le parole di Primo Levi perché i racconti che sento dai migranti passati da quell’inferno, i sopravvissuti alle atricità, poco si distinguono da quelli dei sopravvissuti ai campi di concentramento nazista. Sono racconti pieni di orrore che mi impongono una riflessione profonda, ma anche un viaggio nella storia umana.

Le persone che incontro ogni giorno sono giovanissime! Alcune non hanno ancora compiuto 18 anni. Quelli che arrivano qua spesso raccontano anche la storia di coloro che non sono riusciti a sopravvivere al lager. Sì, avete sentito bene, i campi libici sono dei lager!

“Considerate se questo è un uomo”:

“Avevo il corpo ricoperto di insetti, di parassiti, che mi avevano riempito la carne di ferite. Non potevamo lavarci e facevamo i nostri bisogni all’interno della nostra cella. Eravamo più di centro persone in un spazio veramente angusto. Dormivamo seduti, stipati com’eravamo. Non c’era spazio per sdraiarci.
Non riuscivo più a lavorare per i miei carcerieri. Dovevamo togliere le pietre, spostarle, con le nostre meni. Eravamo legati per i piedi, due a due. Ci davano poco cibo spesso avariato e l’acqua sporca da bere. A causa delle piaghe, degli stenti e delle torture, non riuscivo più a mettermi in piedi. Così hanno deciso di sbarazzarsi di me. Mi hanno fatto caricare dagli altri su un pick-up e mi hanno buttato sulla sabbia del deserto. Avevo il viso rivolto verso il sole, aspettavo solo di morire. In realtà ero già morto, anche se ancora respiravo”. (tatto dalla memoria di un richiedente asilo della Liberia)

...”che muore per un sì o per un no”…

“nella prigione non potevamo parlare tra noi. Dovevamo stare in silenzio tutto il tempo. Se qualcuno si lamentava perché malato, i nostri carcerieri entravano e ci massacravano. Avevo paura persino di muovere le labbra. In questo contesto che è durato circa un anno, molte persone sono impazzite! Io stesso sento ancora le grida delle ragazze, nella cella vicino alla mia, che imploravano di non essere violentate.” * il richiedente asilo si copre le orecchie con le mani, abbassa la testa e piange. (tratto dalla memoria di un richiedente asilo della Nigeria).

“Considerate se questa è una donna,
… Vuoti gli occhi, freddo il grembo”...

“Ci facevano inginocchiare e mettere le mani sulla testa e poi ci picchiavano fino a che non avevano più forza per farlo. Di giorno ci picchiavano e di notte ci violentavano. Ci mettevano nudi, uomini, donne, bambini e ci picchiavano. Sceglievano una di noi oppure un maschio per servire di esempio a tutti noi altri e lo finivano davanti ai nostri occhi. Coprivo il viso per non guardare quell’orrore, ma mi picchiavano per obbligarmi a guardare tutto. Svenivo.”

“Anche i bambini erano costretti a presenziare le violenze che venivano compiute all’interno della prigione. I bimbi iniziavano un pianto disperato, allora sparavano sulle mura, poco sopra la loro testa, per farli smettere di piangere.” (parte del racconto della memoria di una richiedente asilo dell’Eritrea).

Spesso chiedo ai richiedenti se avevano avuto speranza di uscire dall’inferno libico. Non ho mai trovato uno solo che mi avesse risposto di sì. Una volta una ragazza mi ha detto che la sua più grande disperazione era pensare di morire prima dei suoi bambini. Erano nel lager, insieme a lei. Diceva che ogni giorno e notte cercava dentro di sé quale sarebbe stata la soluzione migliore: Vedere morire prima i suoi figli e morire subito dopo di loro, oppure morire prima lei e non dover soffrire con la loro morte, ma con il terrore di cosa sarebbe accaduto poi ai piccoli senza avere almeno il suo sguardo su di loro. L’unica cosa che non aveva mai pensato era di poter uscirne vivi tutti quanti da quello inferno! Tutto questo è durato più di un anno!
Questi racconti sono la storia umana di oggi. Sono tanto attuali quanto vecchi. Si potrebbe dire che è storia umana e basta, senza più bisogno di una epoca precisa.

Una giovane richiedente, bellissima, mi aveva raccontato in lacrime che ad ogni arrivo di un nuovo carico umano nella prigione, i carcerieri cercavano di liberare il posto “facendo spazio”tra i detenuti. Uccidevano le ragazze incinte e quelle malate per mettere al loro posto le nuove recluse. Quando le ho chiesto come venivano uccise le ragazze lei mi ha detto:
“Spesso sparavano loro dentro la cella stessa e poi ci obbligavano pulire il loro sangue, o dovevo buttare i corpi delle vittime nella campagna, sotto il controllo dei carnefici. Altre volte picchiavano la prigioniera davanti a noi, fino ad ucciderla. Una volta hanno sparato ad una ragazza che aveva con sé un bambino di un anno. L’hanno uccisa davanti al piccolo. Abbiamo preso il bimbo in braccio. Era disperato. Piangeva forte. Ma le guardie ci hanno strappato di mano il piccolo. Abbiamo implorato di lasciarlo a noi, spiegando che era soltanto un bebè, ma non hanno voluto. L’hanno portato fuori dalla cella e poi abbiamo sentito un colpo di pistola. Non lo abbiamo più sentito piangere.”

La violenza alla quale sono sottoposte queste persone non è soltanto fisica. Gli orrori a cui sono obbligati non solo a subire, ma anche a veder subire gli altri è una delle forme più crudeli di tortura. Quando il carnefice dice alla vittima che non deve distogliere lo sguardo dalla violenza compiuta su altri, oppure che non deve provare a difendersi con le mani per ripararsi dai colpi che li vengono inflitti, infatti, sta distruggendo in questo essere umano la più elementare delle reazioni di auto protezione. A tutti i migranti passati dalle prigione Libiche viene applicata la tortura. La tortura non è la violenza di per sé. E’ la violenza finalizzata ad annullare le persone. A rendere “lo sguardo vuote e il grembo freddo”, come sottolineava, appunto, Primo Levi.
(Katia Fitermann)









domenica 19 gennaio 2020

Da Sciacalli a Sardine, l'Italia di Oggi








                                                                 FOTO DEL CORRIERE DELLA SERA
Sembrava essere finita la scorsa estate, la stagione dell'incubo di una Italia senza più una identità di quei valori umanitari ai quali eravamo abituati a riconoscerci dalla nascita.

Più che cittadini nati nel  post Rinascimento, negli ultimi anni ci sembrava di vivere in pieno medioevo, assaliti dalla paura, madre della violenza e dell'odio. Sembrava di essere oppressi dall'angoscia e dall'egoismo, che sappiamo bene, tengono gli uomini prigionieri dell’ansia e ancora più simili agli animali in condizioni di pericolo: in perenne situazione di difesa.


Era questo il clima che si respirava. Eravamo allo stesso tempo, preda e predatori. Mai uomini!

In tutta l’Italia si erano moltiplicati gli episodi di violenza contro gli immigrati, contro artisti, giornalisti, magistrati e contro chi salvava le vite umane in mare o in qualche altro luogo, contro i bambini stranieri o disabili, contro gli anziani perché “colpevoli di essere un peso per la società”, come non si era più visti dai tempi del fascismo. Non eravamo più umani, ma bestie in preda alla paura.

Si sparava in piena luce del giorno contro cittadini inermi e persino l’arma dei carabinieri si era macchiata di un reato orribile di violenza sessuale su ragazze straniere, seppur statunitensi.
Impossibile capire, se non alla luce dell'odio, che l’intera nazione, salvo i cosiddetti “buonisti”, che resistevano come i partigiani nell’epoca della seconda grande guerra mondiali, il popolo italiano sembrava contagiato da un odio cieco, da una paura insensata di una invasione di popoli mai esistita. Le persone si comportavano in modo estrano, arrogante, irrazionale. Qualche volte sembravano possedute da spiriti malvagi, tale era la cattiveria con la quale si riferivano agli altri, gratuitamente e spesso nei luoghi pubblici.

Gli autobus e altri mezzi di trasporto della massa erano diventati i palcoscenico di disumano squallore. La politica italiana faceva le veci da regista.

Un virus? Una malattia? No. Solo pubblicità intensiva, pagata a caro prezzo dal contribuente, di odio associato alla paura dell'altro, chiunque essi fosse. Un odio cieco che rispondeva ad una paura ugualmente cieca. Uomini, donne, ragazzi e persino, a volte, anche i bambini, che sembravano non conoscere più la propria umanità, i propri simili. La sensazione era quella di vivere circondati da zombi, pronti ad attaccare per rubarci il sangue,la vita a pezzi e quindi, la perenne sensazione di paura, in un costante stato di allarme.

Dopo il Papeete e i vari tour sulle spiaggia italiane, tra culli, tette e mojito cubano, “Lo Stolto”(ho deciso di ribattezzarlo così) aveva iniziato ad scavare con le sue manine la propria fossa sulla sabbia (o così era sembrato agli spettatori acculturati), ma solo dopo aver abusato di ogni grazia di Dio, tra moto d'acqua della polizia come giostra per i suoi figli, apparato militare, aereo e elicottero di stato per spostarsi in qua e in là, dove aveva pure portato a giro la sua perenne campagna elettorale e alle sue varie apparizioni mutandesche, a pancione peloso scoperto all'aria, dove aveva esibito senza pudore non solo il proprio corpo, ma anche ogni suo modo sgarbato e volgare di inghiottire i soldi pubblici, la cosa pubblica, il popolo italiano intero, la loro vita e dignità, in un momento di pico della sua esacerbata megalomania di onnipotenza è caduto e in quel momento l’Italia improvvisamente sembrava essere uscita dalla maledizione di un cattivo incantesimo e ridiventata un paese civile di primo mondo.

Lo Stolto aveva calcolato allora di essere arrivato al momento buono per colpire: scaricare tutto il resto del governo per regnare indisturbato e così aveva messo in atto una deprimente scena di cabaret, degna di un libro dello scrittore brasiliano Jorge Amado (che ho conosciuto bene e che di miseria se ne intendeva assai), dove il traditore si spacciava per tradito e chiedeva alla maggioranza di governo di levarsi di mezzo, di farsi largo, per farlo governare da solo e con pieni poteri.

Siamo nel 2020, in un epoca strana che sembra invidiare il passato e aver paura del futuro, senza mai concepire l’idea del proprio presente.

Sarà stato il troppo caldo in testa allo Stolto, prodotto dal riscaldamento globale al quale aveva più volte allertato la piccola Gretta (criticata e minacciata dalle Bestie dello Stolto), oppure il mojito di troppo, che con il sole di una estate mediterranea particolarmente calda fosse salito alla sua testa, o semplicemente l’idea che l’amuleto di Maga Magò, lontana ormai dal Vesuvio dei terroni e trasferitasi nella triste vale della Padania, in quel lembo di terra chiamato Busto Arsizio, li aveva dato quel “tcham” di invincibilità? Lo Stolto si sentiva un Dio grazie anche a quei calcoli più calcoli, a cui ormai si era abituato a fare e che lo indicavano al top (anche se la matematica non è una opinione) per prendersi la guida della nazione. Ma i calcoli dello Stolto si erano rivelati molto approssimativi e fu così che…
Lo Stolto è caduto.

E’ caduto vertiginosamente e anche vergognosamente in un oblio di profondità sconfinata proprio lui, l’uomo dei confini, dei blocchi navali e dei muri… Impossibile calcolare la scesa agli inferi del povero Stolto.

Perché “Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi”, si dice.

In contemporaneo, miracolosamente, le persone tutte, i cittadini, sembravano essersi liberati da un incantesimo terribile ed improvvisamente erano ricresciuti i fiori della speranza e dei valori civili (salvo qualche gramigna) e gli italiani sembravano non essere più in preda alle allucinazioni della purezza razziale, dell’odio verso tutti e dentro il petto della gente era finalmente ritornato a battere un cuore umano, italianissimo ed era tornata in ciascuno quell’anima italiana, libera, solidale. Eravamo tornati ad essere dei veri Uomini, dei veri cristiani, dei veri veri! Era arrivato, finalmente il giorno della liberazione per tutti quanti.

M come i film Horror che non finiscono mai senza la fatidica scena dove il male apparentemente sconfitto si insinua, dando a capire allo spettatore che i guai non sono del tutto finiti, anche questa narrazione non potrà finire come nelle fiabe con la frase che concilia il sono agli innocenti e mette serenità e pace al loro cuoricino: “E vissero felici e contenti”.

Dopo un po' di chilometri fatti di faticosa risalita, lo Stolto si affaccia alla superficie dei media col suo ghigno, e con l’aiuto degli zombi e qualche mummia ricomincia, seppur con più discrezione, la medesima campagna di disumanizzazione del paese.

Meno cabaret e meno soldi pubblici a disposizione (a parte quei 49 milioni rubati al popolo e quei soldi russi di cui abbiamo una scarsa notizia), colpisce con meno grinta di prima, ma ci prova lo stesso; è il solo modo per riprendersi il potere ( “il mio tesoro”, come avrebbe detto Smilzo, nel Signore degli Anelli”), anche se precari così come sono, vuoti così come sono, miserabili così come sono.
Come fanno a farsi credibili a qualcuno è un mistero dell’era internet da svelare, dove appena rimessa in moto la propaganda dell’odio, riesce insieme alle sue bestie a trasformare un qualsiasi individuo pacato in predatore incompassionevole. E di bestie lo Stolto se ne intende, come anche Trump. Bolsonaro in Brasile e tanti altri stolti sparsi per il pianeta.

Lo Stolto bacia il crocifisso come un mafioso qualunque. Porta con sé la triste immagine della Madonna a spasso, come un qualunque capo mafia italiano, per esporla come si fosse una delle povere donne del Festival di Sanremo. Evoca un dio che nessuno che abbia un minimo di conoscenza del bene e del male vorrebbe mai adorare, eppure ci cascano.

Ed ecco che arrivano le Sardine! Non portano con sé né bandiere di partito nè di nazione, e ripudiano l’odio. Riempiono le piazze di Italia di tutta quella bella gente che avevamo scordato l’esistenza. Riempiono il vuoto di una sinistra italiana che non ha più il coraggio di osare. Riempiono di uomini, donne, giovani, giovanissimi e anche di bambini quelle piazze che poco tempo prima erano state scenario di violenza e di barbarie.

Non hanno un partito. Non sono un partito politico. Le Sardine sono quella bella fetta di resistenza all’ignoranza e al male comune. Sono giovani. Sono anche vecchi e disabili. Sono il popolo dimenticato e dato in pasto agli squali della politica nazionali. Sono la voce tenuta in disparte. Sono quei 20 mila disoccupati dell’accoglienza ai profughi che Luigi di Maio ha voluto ignorare. Sono quei 5 milioni di volontari che operano nel sociale dando lustro e sostituendo la mancanza di servizi di questo paese assurdo, che nessun politico vuole considerare. Sono adesso loro i Partigiani di Italia, che come allora, verrano riconosciuti nel valore del loro grido all’umanità e nella forza del proprio riscatto umano. Sono i protagonisti di una umanità migliore, anche se adesso è così abbandonata dai politici. Sono la carne e le ossa di questa terra rinascimentale e sfoggiano la più bella espressione politica di cittadinanza attiva che sembra non trovare più alcun spazio nelle istituzioni.



Katia Fitermann



venerdì 17 gennaio 2020

La Paura che Soccombe la Speranza? Brasile, Terra in Agonia


L’ECO DI BERGAMO
VENERDÌ 1 GIUGNO 2018
Primo piano
Il reportage La crisi dell’America Latina
BRASILE, LA LUNGA AGONIA «LULA RITORNI AL POTERE»
L’ex presidente condannato a 12 anni di reclusione gode ancora di ampio consenso tra il popolo e non solo Nazione spaccata in due. La ricchezza di materie prime e una popolazione giovane: il 43% ha meno di 24 anni
(KATIA FITERMANN)



Sao Bernardo do Campo, sobborgo industriale nello stato di San Paolo del Brasile, sabato 7 aprile. Un uomo sale sul camion adibito ad altare, su cui un vescovo emerito si accinge a celebrare la Messa in suffragio della sua sposa Marisa Leticia, scomparsa un anno prima. L’altare improvvisato risponde al bisogno di una folla immensa che vuole partecipare alla celebrazione, troppo numerosa per rientrare in una chiesa. Quell’uomo è stato condannato a 12 anni di reclusione, senza che tutte le fasi del procedimento giudiziario siano state concluse e senza prove della sua colpevolezza. La folla lo sa, lo ritiene innocente e non vuole che lui si consegni alle autorità dopo l’evento liturgico. Quell’uomo è Luis Inácio da Silva, conosciuto popolarmente come Lula, 35° presidente del Brasile.

Sfiducia nella giustizia
Il vescovo è monsignor Angelico Sandalo Bernardini, già presidente della Conferenza nazionale dei vescovi del Paese. Alla fine della Messa l’ex presidente operaio, come lo chiamano, viene sol- levato sulle braccia di migliaia di persone tra tristezza, rabbia e sfiducia nella giustizia brasiliana. La folla è prevalentemente composta da gente povera, ma ci sono anche tanti intellettuali: artisti, operai, scrittori e uomini politici. A poca distanza da quel camion un altro uomo, un magnate del sesso, titolare di un bordello di lusso a San Paolo (la prostituzione è reato in questo Stato e l’uomo è già stato due volte condannato e poi prosciolto per sfruttamento della prostituzione), su un altro altare improvvisato, ma con le immagini del giudice Sergio Moro e della presidente del Supremo tribunale federale del Brasile, Carmen Lucia, celebra a modo suo il mandato di arresto di Lula. Offre a un pubblico di circa 300 uomini (tra cui alcuni politici, avversari dell’ex presidente Lula) i corpi di donne che lui denuda nella pubblica via e sotto le immagini dei magistrati. Sembra un rito di magia nera: le ragazze come offerte alle divinità. Insieme a queste donne oltraggiate ci sono novemila confezioni di birra offerte gratuitamente alla piccola folla.

«È il Paese dell’ironia»

Il magnate del sesso si chiama Oscar Maroni e non si fa scrupolo a raddoppiare l’offerta di ragazze e alcolici gratis se l’ex presidente dovesse morire in carcere. «Questo è il Paese dell’ironia», dice. L’unica frase sensata e forse sin- cera che usa per racchiudere il senso di quella serata. Come dargli torto?
Non si tratta di un film di Federico Felini, né di un breve racconto di Jorge Amado. È solo una vicenda di ordinaria incongruenza, dove tutto si confonde, si mescola, si sporca o si redime, come tutta l’esistenza di questo Paese, fatto di contraddizioni e di sabbia che il vento sposta via facilmente, cancellando ogni possibile traccia di storia.
La saga del «Triplex». Un’altro ex presidente del Brasile era già stato arrestato 54 anni prima. Anche lui, un candidato forte alle elezioni in Brasile e, ironia della sorte, accusato senza prove del medesimo reato: aver ottenuto un appartamento a tre piani (in portoghese «triplex») in modo illecito.

Il regime militare
Era il 1963 e l’uomo si chiamava Juscelino Kubitschek, detto JK, l’ultimo presidente le si instaurasse il regime militare, durato 21 anni. Come Lula, Kubistchek aveva il consenso di oltre il 47% della popolazione e, come Lula, difendeva gli interessi del popolo, specialmente la parte più povera. Anche in quel caso una folla si era radunata davanti al palazzo dove viveva JK per manifestare il suo appoggio, tra commozione e rabbia, mentre un gruppo più modesto di politici antagonisti festeggiava  suo ordine di arresto. La folla, anche allora, cantava e faceva da scudo per impedire che Kubitschek finisse in prigione. Ma un maresciallo dell’esercito di nome Castelo Branco, sospese i suoi diritti civili e con lui quelli di una intera nazione.
Benvenuti in Brasile, «Terra in trance». Il portoghese è una lingua controversa, dove «pois sim» (certo sì) è una ironia, che in realtà vuol dire «no» e «pois não» (certo no) una gentilezza, che vuol dire invece «sì». Forse comincia dalla lingua la contraddizione di questa terra, di questo popolo, fatto a mosaico da innumerevoli popoli colonizzatori, da altri portati da svariati Paesi africani come schiavi e infine da un popolo autoctono, gli indigeni, che invece, dopo cinque secoli di storia e ancora oggi non vengono pienamente riconosciuti nei propri diritti di appartenenza al Brasil, la terra delle bidonville accatastate a ridosso dei palazzi di lusso, dei condomini chiusi, vere gabbie d’oro della classe bene- stante, e della grande maggioranza della popolazione che stenta a sopravvivere in contrasto con quella piccola minoranza che og- gi, come nel ‘64, orchestra l’ennesimo colpo alla Costituzione  Federale.

Una scena di cabaret
L’immagine di Lula che viene osannato da una folla commossa che contende lo spazio a una scena di cabaret, non sarà in fondo nient’altro che la cornice ordinaria di una nazione spaccata in due, dove da una parte c’è la grande massa di poveri, affiancata da intellettuali, artisti, scrittori e dall’altra la spudorata sfrontatezza del potere che colpisce ogni possibile forma di dignità della persona umana?
 
Appello dall’Europa
«Liberatelo»:f irme
di D’Alema e Prodi
«L’arresto precipitoso del presidente Lula, ardente artigiano della riduzione delle diseguaglianze in Brasile, difensore dei poveri del suo Paese, non può che suscitare il nostro sconforto....Chiediamo solennemente affinché il presidente Lula possa presentarsi da uomo libero alle prossime elezioni del popolo brasiliano». L’appello è firmato da un gruppo di uomini di Stato europei, tra cui l’ex presi- dente francese Hollande e l’ex premier spagnolo Zapatero. Per l’Italia ci sono le firme di Romano Prodi, Enrico Letta e Massimo D’Alema.

 

Ricco di risorse naturali
«La speranza ha vinto la paura». Per meglio inquadrare la situazione politica attuale del Brasile proviamo a fare un viaggio nella storia di questo subcontinente potenzialmente ricco di risorse economiche naturali (enormi giacimenti di petrolio si trovano proprio nei fondali delle sue acque territoriali, senza contare che il Paese e il più grande produttore di Niobio, metallo più raro e ricco dell’oro) quanto di risorse umane, essendo la sua popolazione, in maggioranza, estremamente giovane (il 43% ha un’età tra 0 e 24 anni). Partendo dagli ultimi fatti
accaduti (dall’impeachment della ex presidente Dilma Roussef, avvenuto nell’agosto del 2016 all’ar- resto di Lula), il professor Bruno D’Avanzo, direttore del Centro studi e iniziative America Latina, fa un riassunto di quasi 14 anni di governo del Partito dei Lavoratori. «La vicenda Lula è il tentativo riuscito per ora della classe padronale dei latifondisti, dei padroni della finanza, delle multi- nazionali, di un ritorno sostanziale al potere.nLa politica dell’allora presidente del Brasile infatti è stata una politica piuttosto timida nell’affrontare la guida del Paese, seppur sia stata piuttosto incisiva nella riduzione del divario sociale tra ricchi e poveri. D’altronde, il suo arrivo e quello di Dilma alla presidenza del Brasile sono avvenuti in modo democratico, con un ampio margine di maggioranza al governo, ma senza toccare alcuni temi caldi, come la riforma agraria e la demarcazione della terre indigene.
Il latifondo è una delle più difficili e sanguinose questioni del Brasi- le. Infatti tutto ciò che è avvenuto, dall’impeachment di Dilma all’arresto di Lula, fa parte del tentativo assoluto di controllo del Paese, più specificamente dell’economia e delle gestione delle sue risorse, sottoposte all’utilizzo delle multinazionali e del profitto della piccola minoranza interna che si arricchisce sempre di più con la politica economica inter- nazionale», continua lo studioso.

La candidatura a Nobel per la Pace
La candidatura di Lula al Nobel per la Pace. Grandi esponenti del- la cultura brasiliana e internazionale hanno sottoscritto un mani- festo nazionale contro la detenzione di Lula, accusando il poter giudiziario brasiliano di «giudicare, arrestare, ma anche di assicurare la libertà in maniera selettiva e partitica, pubblicizzando la propria azione nei media e sopratutto, ignorando la Costituzione federale del Paese».
Il giornalista e scrittore brasiliano Marcelo Auler, in relazione all’arresto del leader politico del Partito dei lavoratori Lula ha anche ricordato il recente assassinio della consigliera comunale di Rio de Janeiro e attivista per la difesa dei Diritti umani in Brasile Marielle Franco, avvenuto a Rio de Janeiro il 14 marzo di quest’anno: «I rappresentanti diplomatici di tutte le nazioni della 37a sessione del Consiglio per i diritti umani dell’Onu hanno preso visione (il 30 marzo scorso) della denuncia di oltre 60 ong e altre entità che hanno messo in relazione la morte di Marielle Franco con l’inter- vento militare promosso dal Go- verno brasiliano. Il crimine è inserito in un contesto di persecuzioni ai difensori dei diritti umani nel Paese. C’è la necessità di una inchiesta indipendente internazionale per chiarire l’assassinio della giovane politica brasiliana, che rischia di restare impunito».

Corruzione senza limiti
«Il Brasile è un paese agonizzante, asfissiato da una corruzione senza pudore e senza limiti. La classe dominante riesce a fare più soldi nel buio della notte e tra le righe della storia che l’intero popolo, lavorando da sole a sole e questo è per noi una malattia, della quale non riusciamo trovarne la cura. Le persone continuano a lottare contro i poteri forti, con forze dispari, come Sansone contro Golia e la speranza persiste, anche alla luce dei fatti. Per questo insistiamo nel dire: Marielle, Presente! Lula Livre», dice il poeta baiano Gregorio dos Anjos, da quel limbo di mondo, che sogna ancora una vera indipendenza.
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INTERVISTA ALL'ECO TEOLOGO MARCELO BARROS





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Marcelo Barros è un monaco benedettino, teologo e scrittore, referente delle comunità ecclesiali di base e dei movimenti sociali. E’ stato per otto anni coordinatore per l'America Latina dell'Associazione Ecumenica di Teologi/teologhe del Terzo Mondo (ASETT). Ha pubblicato 57 libri in portoghese e 15 in italiano, alcuni dei quali scritti per l'Italia.
L’abbiamo intervistato su quanto sta accadendo all’Amazzonia e perché.

Perché la Foresta Amazzonica sta bruciando e a chi l’umanità dovrà chiedere il “conto” di questa tragedia?
- L'Amazonia è in fiamme perché il Capitalismo è strutturalmente distruttivo nei confronti della natura poiché il suo unico fine è il guadagno. Sotto l’ottica capitalista, tutto é visto come merce di scambio: la terra, le acque e le foreste sono considerate solo dal punto di vista di quanto possono produrre come guadagno da parte delle élite che hanno in mano il potere nel nostro paese.
Questo aspetto distruttivo del Capitalismo è presente in Brasile come pure negli altri paesi che sono sul territorio dell'Amazonia. In questo momento gli incendi di immense proporzioni stanno distruggendo la foresta in territorio brasiliano, come pure in quello della Bolivia e della Colombia.

Chi sono i responsabili di questo disastro ambientale (come pure di molti altri che conosciamo, non solo per quanto riguarda l'Amazonia, ma in altri luoghi del Brasile, ad esempio al disastro della Ripresa di Brumadinho, accaduto a gennaio scorso o a quello del fiume San Francisco, e a tanti altri sui quali sarebbe importante potesse informarci)?

- E' evidente che il primo responsabile è il governo federale e i governatori locali che lo appoggiano e con questo sperano di trarne il loro tornaconto, come pure gli imprenditori e le multinazionali dell'agroalimentare, le imprese di legname che ogni giorno trasportano lungo i fiumi o su strada decine di camion con enormi quantità di legname pregiato. Tra i responsabili del disastro non possiamo dimenticare le grandi imprese di estrazioni minerarie come la Valle do Rio Doce e altre multinazionali che per sfruttare i giacimenti minerari dell'Amazzonia distruggono la foresta e l'ambiente. Fanno in Amazonia quello che fanno nello stato del Minas Gerais (così chiamato per la grande attività di estrazioni minerarie n.d.r.) dove ogni forma di vita in tre fiumi importanti è scomparsa o è stata avvelenata; a causa di questi eventi centinaia di persone sono morte o hanno perso la casa e ogni forma di tutela. Sono , al tempo stesso, responsabili i grandi imprenditori locali che tengono, per così dire, il Governo sotto ricatto perché dipende da loro il consenso elettorale in tempo di elezioni. Bolsonaro stesso è stato eletto da queste potenti centrali di potere per fare esattamente quello che sta facendo . Come Presidente sta appena eseguendo quello che potremmo definire "il compitino di casa". E' effettivamente un buon esecutore... Siamo nelle mani di questi mandanti che stanno distruggendo il paese per avere più guadagni.

Quando si è intensificata la distruzione dell'Amazonia e perché?

- In quest'anno, con il governo di Bolsonaro, gli incendi in tutta la regione amazzonica sul territorio brasiliano hanno registrato un aumento dell' 80% in relazione agli anni precedenti, ma purtroppo questo stava accadendo anche prima a causa dei grandi progetti del Governo Federale (Centrali idroelettriche come pure progetti nel settore Agroalimentare, che neppure i governi cosiddetti popolari, quelli di Lula e Dilma, avevano osteggiato. La verità, comunque, è che mai c'era stato un disastro paragonabile a quello di quest'anno.

- Qual'è la sfida che la Chiesa cattolica e l'umanità devono raccogliere di fronte a questo disastro enorme?

Purtroppo le Chiese cristiane come anche quella Cattolica e le altre non hanno sviluppato nella loro storia una spiritualità ecologica e neppure sufficientemente critica nei confronti del Capitalismo. Attualmente papa Francesco ha messo in guardia e attuato delle trasformazioni che però ancora non hanno ottenuto grandi risultati. La maggior parte dei Vescovi e dei sacerdoti, riportano e citano le sue parole e insegnamenti ma in pratica continuano a portare avanti una visione arcaica di una Chiesa che non ha niente a che vedere con la questione sociale e ambientale.
La sfida attuale è che le Chiese si rendano conto che hanno una responsabilità in questi crimini contro la umanità perché la maggior parte degli imprenditori che agisce in questo modo si dice cristiana e lo stesso Bolsonaro ha ottenuto la Presidenza della Repubblica con lo slogan "Dio prima di tutto!"
Poiché i cambiamenti climatici provocati dalla distruzione della foresta amazzonica, hanno delle conseguenze sull'intero pianeta, tutta l'umanità è chiamata a reagire e a farsi solidale con gli Indios, i pescatori e i piccoli coltivatori che cercano di difendere l'Amazonia

- Sappiamo che da molto tempo si stanno consumando crimini terribili nei confronti dei membri delle organizzazioni che difendono l'ambiente e le popolazioni indigene. Molti crimini sono stati perpetrati anche contro gli indigeni stessi, come pure contro sacerdoti, suore, comunità cristiane (e non solo) che si sono impegnate nella questione indigena e nella tutela della natura. La Chiesa brasiliana come si sta ponendo di fronte a questi gravissimi conflitti?

Sono a migliaia le vittime ed i martiri di questo sistema che distrugge la natura come fa violenza ed uccide indios, contadini, pescatori e uomini e donne che difendono l'ambiente. La Chiesa cattolica è divisa. Ci sono settori e diocesi che non danno nessuna importanza a tutto questo e che continuano a celebrare funzioni ed a lodare Dio come se non stesse accadendo niente. Grazie a Dio, nei nove paesi che fanno parte della Pan-Amazonia, da due anni si è dato vita al REPAM (Rete Ecclesiale Pan- Amazonica) e si è iniziato un lungo processo di dialogo con le popolazioni amazzoniche e di denuncia dei crimini commessi , sostenendo le molte persone ed i gruppi che sono minacciati.

- Può dirci quali sono i paesi stranieri e le imprese multinazionali che stanno sfruttando attualmente le ricchezze dell'Amazonia? Sappiamo che la Coca Cola aveva un progetto per sfruttare le acque del rio Negro, ad esempio.

Al giorno d'oggi questi progetti fanno sempre capo a società difficilmente individuabili e a corporazioni e non ad una sola impresa. E' chiaro che la Nestlè, la Coca Cola, le industrie di fertilizzanti agricoli e sementi transgeniche, come la Monsanto e molte altre imprese hanno grandi interessi in Amazonia. La Coca Cola ha comprato tutta l'acqua della città di San Lorenzo, importante nodo per i movimenti dell'acqua in Minas Gerais ed adesso sta investendo in Amazonia. Cinque grandi compagnie minerarie hanno progetti di estrazione in tutti i paesi dell'America Latina, causando danni immensi all'ambiente. In Europa si deve sapere che quando si acquistano al supermercato cibi per cani e gatti, come pure il nutrimento per i porci o per altro bestiame, si stanno acquistando prodotti derivati dalla soia che viene dal Cerrado brasiliano, oggi praticamente distrutto, e dall'Amazzonia, in via di distruzione.

- Attualmente si sta parlando molto del Sinodo sull'Amazonia che papa Francesco ha convocato per il prossimo mese di ottobre, a Roma. Da questo Sinodo possiamo aspettarci dei cambiamenti?

Ritengo che un cambiamento ci sia già stato dal momento che per la prima volta, per preparare il Sinodo si sono veramente coinvolte le comunità e le popolazioni dell'Amazzonia, comprese le realtà non cattoliche. Questo dialogo ha dato il vita ad un processo sinodale in tutti i nove paesi dell'Amazonia e questo stesso percorso di dialogo e di revisione del concetto di missione ha dato dei buoni risultati e ne darà ancora. Per la prima volta, per esplicita volontà del papa, vescovi e missionari devono dare ascolto alla voce dell'Amazzonia, farsi carico del grido della Terra e dei poveri, rivedendo anche lo stile proprio della Chiesa, che è ancora oggi di stampo coloniale, come pure quell'evangelizzazione che non ha rispettato le religioni e le culture indigene... E' la prima volta che un documento della Chiesa Cattolica dice che la missione comincia quando la Chiesa nei suoi ministri e nei fedeli esercitano il servizio (ministero) non di parlare ma di ascoltare, ascoltare la voce della terra e dei popoli ancestrali. In questo poniamo la nostra speranza.